Riguardo l’ondata preoccupante di razzismo sui vari gruppi facebook di Sinnai (e non solo)

Ho sempre pensato che l’odio, l’intolleranza, il razzismo, fossero da considerare un po’ come i figli illegittimi dell’ignoranza. E, per ignoranza, intendo proprio quella sorta di incapacità dell’uomo di mettersi in discussione, in gioco, di assumere un ruolo critico e autocritico. E, per ignoranza, intendo pure quell’apatia del migliorarsi, dal punto di vista umano e intellettivo.
E, forse, non è tutto.
Riflettendoci bene, potrei ricondurre l’odio al senso perenne d’insoddisfazione che coviamo e nutriamo ogni giorno. E questa insoddisfazione, a sua volta, potrebbe portare all’intolleranza, e arrivare fino all’egocentrismo che ci guida in una solitudine sempre più esasperante. E, magari, questa solitudine interiore, radicata in noi, potrebbe sfociare nel razzismo che a sua volta può scaturire dall’esigenza di sentirci superiori agli altri (per non soccombere alla nostra miseria) e dal bisogno continuo di rimarcare questa nostra presunta superiorità autoproclamata. Basata su cosa, non ci è dato saperlo. E proprio, non saprei che altro dire a riguardo.
Ma se, tutte queste manifestazioni di disagio umano, si riconducono illegittimamente all’ignoranza, legittimamente da dove derivano?!?
È ciò che mi sono chiesta, questi due giorni, leggendo alcuni commenti apparsi sui vari gruppi dedicati a Sinnai e ai suoi cittadini. Ovviamente su facebook.
Si sa, il mondo virtuale, ormai, è alla portata di tutti e tutti possono farne un uso, più o meno, condivisibile. Personalmente, ammetto, di aver giudicato spesso l’intelligenza di alcuni individui in base alle idee e opinioni espresse su questo social network e, soprattutto, di essermi fatta influenzare (non poco) dal loro modo di scrivere. Purtroppo, o per fortuna, tramite la virtualità affidata alle nostre parole scritte si attua quel meccanismo, talvolta poco simpatico, della selezione naturale. Chi ha un retaggio culturale medio-alto esce, quasi sempre, indenne dai confronti virtuali; chi invece ancora non sa bene nemmeno quali siano le regole elementari della lingua italiana, perde sempre i confronti e le diatribe innescate da qualche perla di saggezza popolare. Su facebook, ci sono i tormentoni. I monologhi e i discorsi a tema, e a settimane. Questa settimana ci è toccata la divertente storia dell’uomo nero da cui diffidare e la zingara sporca che rapisce bambini e il lavoro. Su facebook ognuno esprime la propria opinione e, scusatemi se oso affermarlo, ognuno si mostra per ciò che è realmente. Intollerante, razzista, rissoso, offensivo, ineducato, provocatore, paladino della giustizia, garante delle diversità, dell’altro, multiculturale, aperto e spalancato verso il mondo, Boldrini dei poveri (questa sono io, secondo un mio nuovo amico), ingenuo, diffidente e troll (loro ci sono sempre). Ciò che più mi preoccupa, e preoccupa non poche persone, è questa raccapricciante ondata d’odio razziale che nasce proprio qua, da noi, all’interno di una comunità che dovrebbe accogliere, con entusiasmo e sete di ricchezza, chi arriva da altri luoghi. Molte famiglie, qua a Sinnai, si sono integrate talmente bene da sembrare nostri concittadini da sempre. Lavorano (quando hanno la fortuna di averlo un lavoro), portano i propri figli a scuola e alle attività extra scolastiche, comprano nei negozi locali, pagano le tasse e aiutano la comunità, come tutti gli altri cittadini, ad andare avanti nonostante il periodo buio, nonostante le non poche difficoltà. E spesso ci si aiuta e ci si confronta. E ci si arricchisce, non di denaro ma di esperienze e di bellezza. Perchè il confronto e la diversità, la differenza, permette il progresso, la crescita, lo sviluppo e il miglioramento.
E c’è una cosa che ancora adesso mi sfugge, per quale strano e inspiegabile motivo, un paese che vede andar via (ogni giorno) i propri figli, in altri paesi sparsi nel mondo, debba osteggiare l’arrivo dell’Altro. O respingerlo come fosse un morbo incurabile, volendo estirparlo come fosse gramigna. Come ho già detto, in un’altra occasione, il cancro di questa epoca non è la povertà economica dilagante. Il cancro di questa epoca è la povertà intellettiva, la miseria emotiva, l’aridità empatica. E l’ignoranza insita e radicata che non riusciremo mai a debellare. Mi sfugge la motivazione, insita e radicata in noi, che spinge una qualsiasi persona dotata di raziocinio e intelligenza a odiare ciò che non conosce. E forse, morirò senza conoscerla.
Temo che, il razzismo, di contro, non verrà mai estirpato.

Silvia Palmas Aledda – Foto di Marcello Olla: Senegalesi a Solanas