Avete presente l’ondata di scarpe femminili rosse che, da un po’ di tempo, invade le tv, i giornali e i social network di tutto il mondo?
Bene, se avete vagamente presente di cosa stia parlando, saprete che quelle scarpe rosse non sono una moda passeggera arrivata da chissà quale posto, né tantomeno un accessorio fashion da esibire in occasioni speciali, quali la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne del 25 novembre o l’8 marzo per la giornata internazionale della donna. Quelle scarpe rosse sono una memoria, un ricordo pressante e presente di morti inspiegabili, di violenze ataviche, vecchie quanto l’umanità. Parlano di tante esistenze interrotte e spezzate da mani conosciute, mani amiche, mani amate. Parlano soprattutto di luoghi non troppo lontani dove, una vita, non vale poi così tanto. E sussurrano l’assenza, il vuoto che certe persone si lasciano dietro. Gridano lo sdegno per una società che ancora violenta, terrorizza e annienta le proprie figlie, in tutto il mondo. Narrano di un deserto divenuto cimitero per tante, tantissime, troppe donne con l’unica colpa di essere nate donne. Narrano di impunità, di poteri troppo forti, di sparizioni nel nulla, di criminalità e narcotraffico.
Zapatos Rojos, quelle famose Scarpe Rosse, sono un progetto d’arte pubblica nato dalla mente dell’artista Elina Chauvet (nata a Casas Grandes, Chihuahua, Mexico, nel 1959 e laureatasi in Architettura all’Universidad Autónoma de Ciudad Juárez, Chihuahua) che prende inizio nel 2009 con sole 33 scarpe dipinte tutte di rosso e disposte in un cammino simbolico di donne evanescenti, incorporee.
Di fisico, di materiale, ci lasciano solo le proprie scarpe. Ed è un po’ come se, in queste scarpe, noi ci camminassimo per un breve tratto sentendole più che mai vicine.
Rosso come il sangue delle tante donne scomparse e uccise, rosso come la speranza che lega, con un invisibile filo comune, tutto il mondo.
Per tutte quelle donne rapite, torturate e uccise nella città di frontiera nel nord del Messico, Ciudad Juárez nello stato del Chihuahua, a partire dal 1993. In totale impunità.
E Zapatos Rojos, prende inizio da qua, da Ciudad Juárez, il luogo in cui si uccidono le donne che vanno a lavorare in fabbrica (una grande fabbrica di scarpe), le donne che escono e non fanno più rientro a casa. Si uccidono perchè la cultura machista messicana non rispetta la donna, si uccidono per divertimento, per il traffico di droga ed esseri umani, si uccidono per gli snuff movie e per il semplice fatto di essere donne. Alcune, ritrovate nel deserto, verranno riconosciute proprio dalle loro scarpe. Altre spariranno per sempre nel nulla.
E sempre da Ciudad Juárez verrà utilizzato, per la prima volta, il termine femminicidio. Un termine sgradito ai più, ma che racchiude tutto l’universo di questo fenomeno raccapricciante in una sola parola.
E da Ciudad Juárez parte il grido silenzioso di protesta e di speranza. Un grido che, da 5 anni, riflette l’eco della propria lotta contro la violenza di genere in tutto il mondo, e per tutto il mondo.
Un onore, per noi, unirci a quest’eco e fonderci in esso.
E per poterci fondere e partecipare in quest’eco mondiale, ci servono scarpe, tante, tantissime scarpe. Scarpe che non utilizziamo più e che vorremmo buttare o magari accatastiamo una sull’altra in soffitta, perchè ormai passate di moda. Le scarpe inutilizzate, diventano materia prima dell’installazione. Una materia primaria e grezza che verrà trasformata in opera d’arte viva e vitale. Le nostre scarpe inutilizzate, raccolte e riportate in vita, diverranno arte pubblica e condivisa.
L’installazione si sviluppa in più fasi dilatate nel tempo: descrizione e pubblicità dell’evento, raccolta delle scarpe, pittura delle scarpe, installazione, ritorno in Messico (il luogo d’origine dell’evento). Le scarpe, successivamente alla raccolta che durerà circa due mesi e mezzo, verranno dipinte di rosso simbolico (ricordate ciò che ho scritto prima sul simbolismo che incarna il colore rosso?) e si farà tutte/i assieme, in una sorta di opera d’arte in movimento dove ciascuno di noi sarà artista e opera.
L’8 marzo si svolgerà l’evento Zapatos Rojos con l’installazione, in piazza sant’isidoro a Sinnai, per la prima volta in Sardegna.
L’ultima fase, la più rilevante per noi, sarà quella dell’invio all’artista Elina Chauvet di un frammento di Zapatos Rojos a Sinnai.
Un paio di scarpe, i bigliettini, le locandine, le foto e i filmati, verranno spediti in Messico e, con estremo orgoglio, parteciperanno all’installazione finale dell’opera di Elina.
Ergo, un po’ di Sinnai, andrà in Messico e si unirà a tutte le città del mondo che hanno lottato e fatto parte di questa protesta mondiale per far sì che, la violenza di genere, venga eliminata in tutto il mondo.
Spero di avervi infuso un po’ del mio (del nostro) entusiasmo, e spero vogliate far parte di questo grande e onorevole progetto.
Per qualsiasi informazione e delucidazione, sono a vostra disposizione attraverso il mio profilo facebook: Silvia Palmas Aledda. O quello della mia collega: Laura Mereu Contini.
E volendo, ci potete direttamente contattare all’indizizzo mail: zapatosrojos.sinnai@gmail.com
[Un progetto, ed evento, ideato e portato avanti con passione e dedizione da me, da Laura, dall’Associazione Madiba Sinnai, da Radio Fusion che si occuperà della divulgazione in ogni suo aspetto, e dalle bellissime donne di Settimo che si uniranno al nostro progetto con il loro supporto. E, ci auguriamo, da tutte/i voi.]
Silvia Palmas Aledda
Aggiornamento: E’ partita la raccolta delle scarpe.
Le vostre scarpe vecchie, quelle che non vi stanno più o che sono passate di moda, possono diventare un’opera d’arte e vivere una nuova vita.
Potranno fare il giro del mondo e approdare direttamente in Messico, nell’installazione finale dell’artista Elina Chauvet.
Vi aspettiamo con le vostre scarpe. Potete portale presso la sede di Radio Fusion in via Morandi, 34 (Sinnai) il lunedì, mercoledì e venerdì dalle 17:30 alle 18:30.